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«Skid Row». Oltre l’urban chic

Il filosofo Tom Huhn recensisce l‘ultima opera di Charles H. Traub. Il volume costituisce una testimonianza per immagini del tessuto urbano americano di fine anni Settanta.

«Perché chi si è perduto a volte diventa un essere umano più grande di chi non si è mai perduto nella sua vita?»

Nelson Algren

Possiamo considerare le fotografie di Traub come un contrappunto alle onnipresenti  e stereotipate raffigurazioni della vita urbana di New York: pedoni a Times Square o folle di pendolari nella Great Hall della Grand Central Station. Queste immagini iconiche di luoghi brulicanti di vita non evocano tanto una sensazione di vitalità ma sono qualcosa di più simile a un reportage, che occlude – solo per mezzo di una sovrabbondanza di individui – qualsiasi spazio visivo in cui potrebbe accumularsi del degrado. 

È questo che rende le immagini standard della vita urbana così stranamente anonime. Un tale eccesso di persone impedisce che sia visibile qualsiasi zona di decadenza. Dobbiamo ricordare che proprio la promessa di anonimato è stata, a lungo, una delle caratteristiche più allettanti della vita per strada. Eppure, la realizzazione di questa promessa comporta sia l’invisibilità – e quindi, per alcuni di noi, la possibilità di reinventarsi come qualcun altro –  sia il difetto di poter venire ’cancellati‘ proprio da quella stessa coltre di oblio. 

La nostalgia per i quartieri del passato è un curioso tributo all’anonimato della strada. Parlare con rimpianto del Lower East Side di New York, ad esempio, significa estendere l’inaccessibilità che caratterizza la vita nei bassifondi di oggi, rinchiudendo il passato in un luogo completamente arredato e non visitabile. Come mai siamo così posseduti dalla nostalgia per alcuni luoghi delle città?

Guardando i ritratti di Traub mi ritrovo a misurare diversi gradi di «padronanza del sé». Una delle loro caratteristiche più sorprendenti è proprio la gamma di padronanze del sé in mostra. Questo aspetto mi sembra particolarmente curioso perché si trova nei volti di persone apparentemente emarginate. Sono quindi portato a riflettere sul rapporto tra ciò che significa essere perduti e questi ritratti, che si relazionano a quella caratteristica formale della fotografia che fa sì che ognuno di essi si unisca in un’unica immagine. 

A questo proposito il ritratto, e in particolare quello fotografico, risulta sempre già composto dai volti, che sono sempre gli oggetti al centro di ogni ritratto. Poiché queste raffigurazioni si basano sulla compostezza del viso, l’immagine di essi non può che dipendere dall’unità preesistente del volto stesso, che serve ovviamente come modello primordiale per l’unità di ciascuna immagine. 

Le fotografie di Traub di facce segnate dalle intemperie, invecchiate, inette, ecc. sono per noi anche codici della varietà di modi in cui l’immagine – e quindi il mondo – si compone. Le linee, le crepe, i noduli e gli stravolgimenti dei volti ritratti da Traub perciò, rappresentano anche visivamente gli spazi vuoti e le fessure, le schegge e gli spigoli di cui anche noi siamo composti.  

Guarda la presentazione dell’autore, Charles H. Traub

Se il volto che viene ritratto funge da mezzo di composizione per lo spettatore, una sorta di collante che lega i molti pezzi del mondo, allora i ritratti di Traub non forniscono una rassicurazione che la realtà e la nostra esperienza formino un’unità ma mostrano piuttosto quanto essa sia incerta e tenue. Questa immagini non sono solo una raffigurazione di questa o quella persona, quanto piuttosto della colla che tiene temporaneamente insieme e al loro posto le cose.

Ciò ci aiuta a capire perché molte fotografie di Traub sono allo stesso tempo avvincenti e sconcertanti. Documentano persone non completamente unite e ritraggono la nostra relazione ambivalente con loro. Non si tratta di visi vuoti ma piuttosto completamente occupati, anche se in qualche modo disordinati. Essi ci permettono di scoprire qualcosa non «in loro» ma «su di loro». La street photography di Traub raggiunge il cuore dell’attività in cui i volti umani si presentano alla macchina fotografica e si compongono, potremmo dire, come individui unificati, la cui compostezza fornisce, mimeticamente, un’occasione alla collettività umana. Traub apprezza il proprio ruolo di fotografo di strada proprio perché gli consente un accesso speciale a questo momento creativo, in cui il soggetto fotografico si compone e si raccoglie.

— Estratto da Considerations in Skid Row, Lazy Dog Press, Milano 2023.

Tom Huhn è filosofo, critico e curatore. Si è laureato in estetica, con Theodor
Adorno e altri teorici della Scuola di Francoforte. È stato, tra l’altro, studioso del Getty e del Fulbright ed è autore di numerose pubblicazioni. Attualmente è titolare della cattedra di Storia dell’arte e studi critici presso la School of Visual Arts di New York.

Charles H. Traub è un mostro sacro della street photography americana. Qui la sua bio.

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